Non toccare quel telefono: spiare WhatsApp ti costa fino a 10 anni

Una nuova sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che accedere ai messaggi WhatsApp di un’altra persona, anche senza forzare tecnicamente il dispositivo, rappresenta un reato. Si tratta di un’importante precisazione giurisprudenziale sui limiti della privacy digitale, oggi sempre più centrale nelle relazioni personali e nei contenziosi legali.

Il caso: accesso non autorizzato allo smartphone della ex

Il fatto riguarda un uomo che aveva consultato i messaggi e il registro chiamate di due dispositivi appartenenti alla sua ex moglie, uno dei quali ancora attivo e protetto da codice. Le informazioni erano poi state usate nell’ambito di una causa civile. Ma per la Corte questo non giustifica l’accesso abusivo a un sistema informatico, punibile secondo l’art. 615-ter del codice penale con pene fino a 10 anni di reclusione.

WhatsApp è un sistema informatico protetto

La decisione conferma che applicazioni come WhatsApp, anche se comunemente usate nella vita quotidiana, rientrano nella definizione giuridica di sistema informatico. Ogni accesso non autorizzato, anche se facilitato da conoscenze pregresse (come una password condivisa in passato), è da ritenersi illecito se avviene senza consenso espresso e attuale.

Non basta “conoscere” il codice

Una delle precisazioni più rilevanti della sentenza è che la sola disponibilità di un PIN o di una password non implica autorizzazione all’accesso. È il contesto a determinarne la legittimità: se manca un consenso attuale e specifico, ogni consultazione dei dati personali altrui si trasforma in un’invasione punita dalla legge.

Un precedente rilevante anche nei rapporti familiari

Questa pronuncia non solo tutela il diritto alla riservatezza in generale, ma riafferma che neanche in ambito familiare o relazionale esiste una “zona franca” al di fuori del perimetro della legge. L’idea che in certe circostanze si possa “controllare” il cellulare del partner, dell’ex coniuge o del figlio maggiorenne, trova in questa decisione un netto freno.

Conclusioni: attenzione alla privacy digitale

La Cassazione chiarisce con fermezza che l’inviolabilità dei dati personali non si sospende in nome della curiosità o di un presunto “interesse legittimo”. Spiare conversazioni private su WhatsApp resta un comportamento penalmente rilevante, con conseguenze anche gravi.


Lo Studio Legale Rienzi si occupa da quasi 50 anni di diritto: le conoscenze e l’esperienza maturata nel corso degli anni ne fanno una delle boutique Law Firm più prestigiose del Paese. Lo Studio è in grado di attivare un team integrato di professionisti che possono offrire una consulenza completa per ogni tipo di esigenza. In caso ci sia necessità di una consulenza, è possibile contattarci direttamente sul web oppure tramite il numero 0637353066.