SONO ATTI PERSECUTORI LE OSSESSIVE TELEFONATE ALL’EX MARITO MASCHERATE DA INTERESSE PER LA FIGLIA

Il delitto di atti persecutori (c.d. stalking) ai sensi dell’art. 612 bis c.p. prevede che sia punito “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Tale reato si configura anche nel caso in cui una ex moglie realizzi una ripetuta sequenza di condotte moleste, prolungatesi per anni con telefonate aggressive ed ossessive, con pedinamenti ed incessanti interferenze nella vita privata dell’ex coniuge, in particolare quando costui era in compagnia della figlia, con la scusa di interessarsi a quest’ultima, incidendo invece gravemente sulla serenità psico-fisica della minore. Questo è quanto emerge dalla sentenza del 14 settembre 2023, n. 37724, della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione. La donna responsabile del reato in questione faceva ricorso alla Suprema Corte lamentando la mancanza del dolo, l’elemento soggettivo del reato, affermando che il proprio intento fosse solo quello di sincerarsi delle condizioni di salute della figlia. Secondo la difesa della donna, la fattispecie si sarebbe dovuta ricondurre alla contravvenzione di cui all’art. 660 c.p., che punisce chiunque, anche tramite mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo. Secondo la Corte, le condotte della donna, sia per durata che per modalità, denotano invece la volontà di cagionare gli eventi tipici del reato di stalking.


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