Una pronuncia importante in tema di responsabilità medica (e dell’eventuale dissenso manifestato dal medico d’équipe in relazione all’operato degli altri componenti) è arrivata dalla Suprema Corte (Cass. pen. sez. IV n. 16094/2023).

La fattispecie in esame è quella di una cooperazione colposa di più medici, definita “Responsabilità di equipe”. Questa sottocategoria della responsabilità medica si riferisce al caso in cui più medici si occupino in successione dello stesso paziente. Ai medici imputati, in questo caso specifico, viene ascritta la scelta di aver colposamente atteso il giorno per intervenire e risolvere chirurgicamente la complicanza scaturita a seguito di un precedente intervento operatorio.

La questione oggetto della censura sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale ha riguardato la sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta dei medici e l’evento morte della paziente, in quanto l’odierno ricorrente avrebbe manifestato il suo dissenso rispetto alla scelta di procrastinare l’intervento chirurgico salvifico.

Il nocciolo della questione giuridica è il c.d. “principio di affidamento” il quale consente di confinare l’obbligo di diligenza del singolo sanitario entro i limiti compatibili con l’esigenza del carattere personale della responsabilità penale. Il titolare di una posizione di garanzia, quale è il sanitario, è tenuto ad impedire che si verifichino degli eventi dannosi e può andare esente da responsabilità, quando l’evento lesivo possa ricondursi al co-titolare della stessa posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento; il principio di affidamento non può essere invocato se l’agente non ha osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa. Questa tipologia di principio va commisurato con l’obbligo di garanzia verso il paziente che è a carico di tutti i sanitari che partecipano all’intervento terapeutico. Alla luce di quanto detto, assume rilievo il tema del dissenso manifestato da parte dei soggetti coinvolti.

Nella fattispecie al vaglio della Suprema Corte, è stato rilevato che la sentenza impugnata presentava evidenti lacunosità e contraddittorietà laddove, pur dando atto del dissenso manifestato dal medico al collega in ordine ad una scelta terapeutica non condivisa, tuttavia ha ritenuto la sussistenza del rapporto di causalità con la morte della paziente, senza individuare le condotte che avrebbe dovuto tenere il medico onde rendere manifesto il suo dissenso rispetto alla scelta di procrastinare l’intervento chirurgico.


Per info o assistenza legale:

06.37353065-6

carlorienzi@ordineavvocatiroma.org