REPLICA AL CAPO E INOLTRA LA MAIL AI VERTICI: NIENTE DIFFAMAZIONE!

Recentemente, la Corte di Cassazione – con la sentenza n. 28771 del 4 luglio 2023 – ha confermato il principio, già espresso in precedenti pronunce, in base al quale rientra nei suoi compiti quello di valutare la portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie.

In particolare, nel caso oggetto della recente pronuncia, all’imputata, funzionaria amministrativa di un Ateneo universitario, veniva contestato il tenore diffamatorio di una comunicazione rivolta al Direttore generale dell’Università e ad altri soggetti e contenuta nella replica ad una pregressa email ricevuta dallo stesso Direttore generale dell’Ateneo.

Dalla comunicazione si evinceva come tra la funzionaria ed il capo vi fosse stata una recente discussione sul ruolo alla stessa affidato durante la quale la lavoratrice si era sentita offesa.

In primo grado il Giudice di Pace condannava l’imputata per diffamazione obbligandola al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, statuizione, che veniva poi confermata anche in grado di appello innanzi al Tribunale.

Per tale motivo, l’imputata ha promosso ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’insussistenza del reato in ragione del fatto che la stessa si era limitata a replicare, esercitando il proprio diritto di critica, ad una precedente comunicazione del Direttore dell’Ateneo rispondendo ad una email di quest’ultimo già indirizzata anche ad altri soggetti.  

La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso promosso dalla funzionaria, ha affermato che le dichiarazioni rese dalla medesima risultavano espressione del diritto di critica e di replica rilevando che, nel caso di specie, la frase contenuta nella email ai superiori per denunciare la condotta del capo, essendo stata trasmessa in orario di ufficio e all’interno del luogo di lavoro, non costituisce diffamazione.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e per la revoca della condanna alla funzionaria, con ciò dimostrando come, in materia di diffamazione, sia possibile ricorrere per cassazione anche per profili sostanziali e non meramente procedurali.


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