Il principio di diritto espresso dalla sentenza n. 14957 del 29 maggio 2023 della Cassazione civile a Sezioni Unite, dispone che il procedimento disciplinare riguardante chi svolge la professione di avvocato è autonomo – e come tale deve essere valutato ai sensi dell’art. 54 della legge n. 247 del 2012 – rispetto al processo penale avviato per il medesimo fatto; ciò vale anche con riguardo alla decorrenza del termine di prescrizione dell’azione disciplinare, derivandone la necessità che l’organo disciplinare provveda ad accertare la data di commissione del fatto. Il Supremo Consesso ha ulteriormente specificato che, in caso di illecito permanente, tale data corrisponde a quella di cessazione della permanenza. Il caso presentato davanti alla Corte riguarda un legale, il quale, dopo essere stato condannato in sede penale a due anni di reclusione con sospensione condizionale della pena per molteplici reati, ha subito un procedimento disciplinare che lo ha sospeso dall’esercizio dell’attività per 9 mesi. L’avvocato ha impugnato il provvedimento davanti al Consiglio Nazionale Forense, sostenendo l’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare; ha successivamente presentato ricorso alla Suprema Corte dal momento che il CNF ha ritenuto fondata l’eccezione solamente riguardo ad alcuni addebiti disciplinari. La Cassazione ha poi accolto – seppur con dei limiti – la doglianza dell’avvocato e ha cassato la decisione con rinvio al CNF, il quale sarà costretto ad uniformarsi al principio di diritto sopramenzionato. Secondo gli ermellini, in conclusione, la determinazione concreta della data di cessazione della permanenza risulta decisiva; malgrado ciò, il provvedimento impugnato non ha stabilito quando, in concreto, sia cessata la permanenza delle condotte integranti anche l’illecito disciplinare.
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