La parola “terme” non può essere utilizzata senza criterio, ma solo in riferimento a centri dove vengano utilizzate “acque termali aventi riconosciuta efficacia terapeutica per la tutela della salute“. Una rivoluzione copernicana – quella derivante dalla sentenza del Tar Lazio, che ha accolto il ricorso proposto da Terme e Grandi Alberghi di Sirmione Spa, con il sostegno di Federterme – per un settore in cui la confusione regnava sovrana ormai da parecchio tempo.
La sintesi della pronuncia è chiarissima: non basta l’acqua riscaldata per potersi presentare come “terme“. Una pessima notizia per i tanti centri benessere che, nel tempo, hanno sfruttato a proprio vantaggio questa ambiguità lessicale e che saranno costretti, ora, a fare marcia indietro (altrimenti il rischio è la chiusura). Ma una novità positiva per i tanti cittadini che, negli anni, hanno trovato grandi difficoltà nella scelta della struttura cui rivolgersi, proprio a causa dell’ambiguità lessicale provocata dai gestori di alcuni centri.
In quest’occasione, il Tar ha ribaltato il giudizio dell’Antitrust, che nel settembre 2023 aveva archiviato la relativa segnalazione. Per i giudici amministrativi, l’Antitrust non ha “adeguatamente approfondito” il fatto che il termine “terme” fosse presente già nella denominazione, confondendo o ingannando così il consumatore.
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