Un’interminabile discussione pubblica ha preso le mosse dalla notizia del ritorno di Enrico Forti (detto Chico), condannato negli Stati Uniti per l’omicidio dell’imprenditore australiano Dale Pike. Mentre infuria il dibattito tra favorevoli e contrari, e beninteso con l’idea di evitare qualsiasi forma di discussione politica, è utile approfondire la pronuncia attraverso la quale la Corte di Appello di Trento, ai sensi dell’art. 734 c.p.p., ha riconosciuto in Italia la sentenza emessa il 20/6/2000 nei confronti di Forti.
Ovvero, la condanna alla pena dell’ergastolo, la cui esecuzione – si legge nel provvedimento – “dovrà ora proseguire nel territorio dello Stato secondo quanto previsto dagli artt. 9 e 10 della Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate (ratificata con la Legge 25 luglio 1988, n. 334)”.
E ancora: “Avendo l’Italia scelto il criterio della ‘continuazione‘ di cui all’art. 9 della Convenzione di Strasburgo, andranno applicati i criteri di cui al successivo art. 10“.
La convenzione di Strasburgo
Ai sensi della Convenzione di Strasburgo, infatti, “in caso di continuazione dell’esecuzione, lo Stato di esecuzione è vincolato alla natura giuridica e alla durata della sanzione così come stabilite dallo Stato di condanna“.
Con una eccezione: “se la natura o la durata della sanzione sono incompatibili con la legge dello Stato di esecuzione, o se la sua legge lo esige, questo Stato può per mezzo di una decisione giudiziaria o amministrativa, adattare la sanzione alla pena o misura prevista dalla propria legge interna per lo stesso tipo di reato.
La natura di tale pena o misura deve corrispondere, per quanto possibile, a quella inflitta con la condanna da eseguirsi. Essa non può essere più grave, per natura o durata, della sanzione imposta nello Stato di condanna, né eccedere il massimo previsto dalla legge dello Stato di esecuzione“.