INADEMPIMENTO DEL MANDATO E PRESCRIZIONE DELL’AZIONE DISCIPLINARE

Con la sentenza n. 28/2023 del Consiglio Nazionale Forense viene sancito qual è il dies a quo del termine prescrizionale dell’azione disciplinare nel caso di inadempimento del mandato. In caso di illecito permanente, come quello oggetto dell’odierna sentenza, il termine decorre dalla cessazione della c.d. “permanenza” dell’illecito, ovvero da quando i soggetti coinvolti abbiano avuto contezza dell’inadempimento del legale.

Nel 1999 una coppia di coniugi conferiva mandato ad un legale per portare a termine una pratica di usucapione sul terreno da loro posseduto, nel tempo, il legale li rassicurava sul buon esito del procedimento e comunicava nel 2011 il deposito della sentenza. I clienti ne chiedevano insistentemente copia e inviavano una raccomandata all’inizio del 2012, alla quale il legale rispondeva negando il conferimento del mandato. I malcapitati si rivolgevano ad un altro professionista, che inviava una diffida nel marzo 2012, chiedendo la restituzione degli acconti oltre al risarcimento del danno, tale comunicazione rimaneva senza alcun riscontro. Nell’agosto dello stesso anno, i clienti presentavano un esposto al competente Consiglio dell’Ordine; il legale si difendeva eccependo l’intervenuta prescrizione, ma le sue difese venivano respinte.

Risulta interessante analizzare le norme deontologiche che regolano il caso concreto, secondo il codice deontologico attualmente vigente: “Costituisce violazione dei doveri professionali il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina, quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita” (art. 26 c. 3 CDF); la sua violazione è punita con la censura; “L’avvocato, ogni qualvolta ne venga richiesto, deve informare il cliente e la parte assistita sullo svolgimento del mandato a lui affidato e deve fornire loro copia di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l’oggetto del mandato e l’esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale”.

Inoltre, “deve comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di atti necessari ad evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso” (art. 27 c. 6 e 7). La sanzione prevista è la censura.

Il legale sostiene che l’illecito disciplinare contestato sia ormai prescritto, in quanto il mandato risale al 1999 ma il Consiglio ha constato che si tratta di un illecito permanente in virtù della circostanza che le condotte si sono protratte fino al 2012, ed ha individuato come dies a quo la data di presentazione dell’esposto nell’agosto 2012. La suddetta data segna il momento a partire dal quale i clienti hanno avuto contezza dell’inadempimento dell’incarico e delle false informazioni ricevute. L’inadempimento del mandato costituisce un illecito permanente e la cessazione della permanenza viene individuata nel momento in cui il cliente ha avuto consapevolezza del fatto che il legale non avesse mai espletato l’incarico, come già sancito da una precedente decisione del CNF, sent. 99/2022.

 Nel caso in esame, la permanenza è cessata nel 2012 e, pertanto, trova applicazione il termine prescrizionale previgente pari a 5 anni.


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