Sta per entrare nelle fasi conclusive il processo Miteni: un nome che a molti italiani non dice molto, ma che invece riassume il più grande procedimento in Italia per inquinamento (delle acque), con 350mila persone esposte al rischio a causa di perfluorurati e polifluorurati (Pfas).
Il caso riguarda l’area tra le province di Vicenza, Verona e Padova, in Veneto: qui, fin dagli anni ’70, sarebbe stato provocato un inquinamento significativo di acque superficiali e falde acquifere, con sversamenti effettuati nel corso di decenni dalle industrie della zona. E in particolare, dall’industria chimica Rimar/Miteni/Icig, nonostante gli allarmi lanciati da residenti e professionisti (di fronte alle quali istituzioni locali e organi deputati al controllo sono rimasti a lungo immobili).
Nonostante quella che è stata definita una “sistematica minimizzazione degli effetti avversi derivanti dall’esposizione ai Pfas” da parte delle difese degli imputati, l’attenzione della cittadinanza sul caso è ora molto alta. Specie dopo i risultati di indagini e ricerche scientifiche su queste sostanze che non si degradano nell’ambiente, si concentrano nel corpo umano e possono dare vita a diverse patologie (anche tumorali). Tanto che nei giorni scorsi è stato organizzato anche un presidio per chiedere che sia fatta finalmente giustizia.
Si attende ora il verdetto conclusivo di un processo lungo e difficile: di “occasione storica per fare giustizia sui crimini ambientali” ha parlato Greenpeace, che – come molti – spera in un verdetto esemplare. Una sentenza che rappresenterebbe un clamoroso precedente per la battaglia contro i cosiddetti “inquinanti eterni”!
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