“Era consenziente”, scrissero i giudici: l’appello li smentisce

La Corte d’Appello di Ancona ha condannato a tre anni di reclusione un uomo di 31 anni accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza di 17 anni. In primo grado, il Tribunale di Macerata lo aveva assolto, ritenendo che la giovane fosse consenziente. Con la nuova decisione, i giudici hanno invece riconosciuto la sussistenza del reato e ribaltato completamente la precedente sentenza.

Le motivazioni della prima assoluzione

Nel 2023, i giudici del Tribunale di Macerata avevano sostenuto che la ragazza avesse «accettato la proposta dell’amica di un’uscita in quattro, in compagnia di due ragazzi italiani pressoché sconosciuti e di appartarsi in tarda serata in automobile in un luogo isolato e scarsamente illuminato».

Secondo quella ricostruzione, «lì l’amica e l’altro ragazzo erano scesi dalla macchina, mentre lei era rimasta in compagnia dell’imputato, accettando di accomodarsi sul sedile posteriore e qui di scambiarsi effusioni amorose con lui, senza manifestare fino a quel momento alcuna contrarietà, nonostante fosse evidente a chiunque che fossero giunti in quel posto proprio a tale scopo».

La parte lesa, tuttavia, aveva successivamente sporto denuncia, sostenendo di non aver mai prestato un consenso libero e consapevole e di aver provato «a respingerlo con un pugno ma non si poteva muovere».

Le motivazioni della Corte hanno destato forti critiche per il linguaggio utilizzato, giudicato da molti discriminatorio e anacronistico, in quanto legato a una visione stereotipata del comportamento femminile.

Il ribaltamento in appello

La Corte d’Appello di Ancona ha invece ritenuto che il consenso non possa mai essere presunto, ma deve essere espresso in modo chiaro e inequivocabile. Nessuna “condotta precedente” o contesto può essere utilizzato per giustificare atti non voluti o per ridurre la responsabilità dell’imputato.

Per i giudici di secondo grado, la giovane ha subito una violenza e l’uomo è pertanto responsabile penalmente del reato contestato. La sentenza prevede una condanna a tre anni di reclusione e un risarcimento in favore della parte civile. La difesa ha annunciato ricorso in Cassazione.

Un caso che solleva riflessioni culturali e giuridiche

Il caso mette in luce l’importanza di una corretta interpretazione del concetto di consenso nei reati a sfondo sessuale. L’esperienza personale o la condotta pregressa della vittima non possono in alcun modo essere utilizzate come attenuanti o argomenti difensivi. La giurisprudenza più recente, anche alla luce delle direttive europee, ribadisce che il consenso deve essere libero, informato e attuale: un principio fondamentale per la tutela della libertà e della dignità personale.


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