Se l’Ilva di Taranto presenta pericoli gravi e rilevanti per l’ambiente e per la salute umana, il suo esercizio dovrà essere sospeso. Spetta al Tribunale di Milano valutare questi rischi. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’UE pronunciandosi su un ricorso dei cittadini, costituiti in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano contro il proseguimento dell’esercizio dell’impianto. I ricorrenti chiedevano nella loro azione innanzitutto la “cessazione delle attività dell’area a caldo” dell’impianto, la “chiusura delle cokerie, l’interruzione dell’attività dell’area a caldo fino all’attuazione delle prescrizioni” dell’Aia e la “predisposizione di un piano industriale che preveda l’abbattimento delle emissioni di gas serra di almeno il 50%“.
La Corte UE
La remissione degli atti dal Tribunale di Milano alla Corte UE è avvenuta a settembre 2022. Sono stati tre i quesiti posti dal Tribunale di Milano sui quali la Corte si è pronunciata. In particolare, con la sua prima questione, “il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2010/75, letta alla luce dell’articolo 191 TFUE, Trattato di funzionamento dell’Unione Europea, “debba essere interpretata nel senso che gli Stati membri sono tenuti a prevedere una previa valutazione degli impatti dell’attività dell’installazione interessata tanto sull’ambiente quanto sulla salute umana quale atto interno ai procedimenti di rilascio o riesame di un’autorizzazione all’esercizio di una tale installazione ai sensi di detta direttiva“.
Quanto al secondo quesito, “il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2010/75 debba essere interpretata nel senso che, ai fini del rilascio o del riesame di un’autorizzazione all’esercizio di un’installazione ai sensi di tale direttiva, l’autorità competente deve considerare, oltre alle sostanze inquinanti prevedibili tenuto conto della natura e della tipologia dell’attività industriale di cui trattasi, tutte quelle oggetto di emissioni che siano scientificamente note come nocive derivanti dall’attività dell’installazione interessata, comprese quelle generate da tale attività che non siano state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale di tale installazione“.
Infine, col terzo quesito, “si chiede se la direttiva 2010/75 debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale ai sensi della quale il termine concesso al gestore di un’installazione per conformarsi alle misure di protezione dell’ambiente e della salute umana previste dall’autorizzazione all’esercizio di tale installazione è stato oggetto di ripetute proroghe, sebbene siano stati individuati pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana“.
La nozione di inquinamento
Il punto centrale della sentenza del tribunale con sede in Lussemburgo è che la nozione di “inquinamento” ai sensi della direttiva relativa alle emissioni industriali include i danni all’ambiente e alla salute umana. La previa valutazione dell’impatto dell’attività di un’installazione come l’acciaieria deve quindi costituire atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell’autorizzazione all’esercizio previsti da tale direttiva. E nel procedimento di riesame occorre considerare le sostanze inquinanti connesse all’attività dell’installazione, anche se non sono state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale. In caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso.
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