Blocco della rivalutazione delle pensioni: pioggia di ricorsi in arrivo?

La (annosa) questione della rivalutazione delle pensioni ritorna, di nuovo, al centro del dibattito: il taglio dell’indicizzazione delle pensioni stabilito con le ultime manovre economiche finisce infatti davanti alla Corte Costituzionale – chiamata in causa dalla Corte dei Conti della Toscana, in relazione al ricorso proposto da un ex dirigente scolastico.

L’eccezione di incostituzionalità sollevata dai magistrati contabili riguarda gli articoli 36 e 38 della Costituzione: la trasmissione degli atti alla Consulta è avvenuta per una questione di legittimità costituzionale dell’articolo della legge di «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023- 2025». Con la Manovra 2023 il governo Meloni ha infatti rivisto il meccanismo di indicizzazione delle pensioni, tagliando la rivalutazione per gli importi più alti: un taglio che, secondo la Corte dei Conti, essendo inserito all’interno di una manovra espansiva e senza crisi finanziarie all’orizzonte, lede diritti fondamentali, e si configura come una misura irragionevole e non proporzionata.

Il blocco della rivalutazione delle pensioni, si legge nell’ordinanza, «lede non solo l’aspettativa economica ma anche la stessa dignità del lavoratore in quiescenza». In pratica, il legislatore sembra non considerare la pensione «come il meritato riconoscimento per il maggiore impegno e capacità dimostrati durante la vita economicamente attiva, ma alla stregua di un mero privilegio, sacrificabile anche in un’asserita ottica dell’equità intergenerazionale».

E ancora: «La particolare dignità dell’attività lavorativa come contributo al progresso della società implica la necessità di valorizzare i principi della proporzionalità della retribuzione ‘alla quantità e qualità del suo lavoro’ (art.36 Cost.) e la funzione propriamente previdenziale dei trattamenti pensionistici (art. 38 Cost.), rendendo necessario mantenere la proporzionalità anche nei confronti dei lavoratori in quiescenza, non solo per assicurare al soggetto un trattamento economico commisurato all’attività lavorativa svolta ma per tutelare la stessa dignità del lavoratore che non può essere sminuita nel periodo successivo al collocamento in pensione».

La parola passa ora, come detto, alla Corte Costituzionale: una sua eventuale pronuncia di incostituzionalità avrebbe un impatto dirompente, con un possibile effetto domino su altri ricorsi simili e un costo stimato di 37 miliardi di euro per le casse dello Stato. Si aprono, dunque, nuovi scenari per i pensionati italiani!


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