Dà del “leccac**o” al capo: licenziamento legittimo

Dà del “leccac**o” al proprio capo davanti ai colleghi e viene licenziata: la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del provvedimento disciplinare, chiudendo una lunga vicenda giudiziaria iniziata nel 2018. Protagonista una dottoressa in servizio presso la sezione di Acireale dell’Associazione italiana assistenza spastici (Aias), che, in segno di protesta verso un compito assegnato, aveva insultato il proprio superiore alla presenza di una collega. Il giudice del lavoro, in un primo momento, aveva ordinato il reintegro e disposto un risarcimento di dodici mensilità, ritenendo il licenziamento sproporzionato. Ma nel 2023 la Corte d’Appello di Catania aveva ribaltato la decisione, riconoscendo nell’episodio una “grave insubordinazione” e una violazione del vincolo fiduciario.

La decisione: rottura del vincolo fiduciario

La Suprema Corte ha ritenuto corretta la valutazione compiuta nei precedenti gradi di giudizio, sottolineando che l’offesa, per la sua natura e modalità, è idonea a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendente.

Il comportamento della lavoratrice non è stato considerato una semplice manifestazione di disagio o una reazione impulsiva, ma un atto di aperta sfida che mina le basi del rapporto di lavoro subordinato. I giudici hanno ribadito che la gravità dell’ingiuria, la sua pubblicità e il rifiuto implicito di rispettare una direttiva aziendale sono elementi sufficienti a giustificare il licenziamento disciplinare, indipendentemente dalla durata del rapporto o dalle condizioni personali del lavoratore.

Il confine tra critica e offesa

La pronuncia riafferma un principio cardine del diritto del lavoro: la libertà di espressione del dipendente trova un limite nel rispetto del superiore e dell’ambiente professionale.

La disciplina dei rapporti di lavoro tutela tanto i diritti del lavoratore quanto l’esigenza del datore di mantenere un clima fondato su fiducia, collaborazione e rispetto reciproco. Criticare una decisione aziendale è lecito, ma trasformare il dissenso in un insulto pubblico significa oltrepassare quella soglia di tollerabilità che il legislatore e la giurisprudenza individuano come giusta causa di licenziamento. La pronuncia della Cassazione n. 21103/2025 ribadisce così che la dignità e l’autorevolezza dei ruoli professionali restano pilastri essenziali del rapporto di lavoro.


Lo Studio Legale Rienzi si occupa da quasi 50 anni di diritto: le conoscenze e l’esperienza maturata nel corso degli anni ne fanno una delle boutique Law Firm più prestigiose del Paese. Lo Studio è in grado di attivare un team integrato di professionisti che possono offrire una consulenza completa per ogni tipo di esigenza. In caso ci sia necessità di una consulenza, è possibile contattarci direttamente sul web oppure tramite il numero 0637353066.