L’omessa restituzione di documenti al cliente, in violazione dell’articolo 33 del Codice deontologico forense, costituisce illecito deontologico permanente: è quanto emerge dalla sentenza n. 262 del 28 novembre 2023 del Consiglio Nazionale Forense (pres. Greco, rel. Altieri). Nel caso di specie, l’avvocato – nonostante la richiesta di revoca del mandato – si era reso protagonista della mancata restituzione dei documenti: una scelta – quella di ritenere gli atti e i documenti di causa – cui non avrebbe avuto diritto, stante la revoca del mandato, e che ha comportato infine l’applicazione di una sanzione disciplinare (censura).

In relazione al principio citato, si può individuare il relativo dies a quo prescrizionale nel momento cui:

1) il professionista ponga fine all’omissione ovvero effettui il comportamento positivo dovuto, oppure

2) sollecitato in tal senso, opponga il rifiuto affermando l’asserita legittimità del proprio contegno, con la precisazione che tale diritto debba essere rivendicato espressamente nei confronti dell’altra parte contrattuale (cliente/parte assistita) e non nelle difese contro la pretesa punitiva dello Stato esercitata con il processo penale ovvero in sede disciplinare;

3) in ogni caso, al fine di evitare una irragionevole imprescrittibilità dell’illecito stesso, un “limite alternativo” alla sua permanenza deve essere individuato nella decisione disciplinare di primo grado.

Detto che l’omessa restituzione di documenti al cliente costituisce illecito permanente, è interessante segnalare che l’avvocato che rifiuta la consegna lede il diritto di difesa sancito dall’articolo 24 della Costituzione Italiana (Corte di Cassazione, sentenza n. 24080 del 17 novembre 2011). Lo scopo della norma qui analizzata è quindi, in ultima analisi, quello di tutelare un diritto – come quello alla difesa – che fa da architrave dell’intero ordinamento giuridico.


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