Sta facendo discutere la recente decisione della Corte Costituzionale – n. 4/2024 – che ha dichiarato l’incostituzionalità del blocco della maggiorazione R.I.A. (Retribuzione Individuale di Anzianità) e aperto la possibilità per i dipendenti pubblici di richiedere il recupero degli aumenti salariali legati all’anzianità, precedentemente bloccati: una pronuncia che incoraggia i lavoratori a valutare individualmente il proprio caso per determinare l’entità degli arretrati, e richiedere quanto spettante per gli anni trascorsi.
La questione ci riporta indietro al 1990, e cioè precisamente di 34 anni: all’epoca, infatti, il rapporto di lavoro pubblico era ancora regolato dal diritto pubblico, e il contratto prevedeva il blocco dell’anzianità, con specifici importi assegnati in base agli anni di servizio accumulati entro il 31 dicembre 1990 (variando a seconda della qualifica). Questo beneficio economico, previsto dal Dpr 44/1990 (il contratto collettivo nazionale della pubblica amministrazione in vigore fino alla fine del 1990), è poi venuto meno. Con la privatizzazione dei contratti del 1993, poi, il rapporto di lavoro è stato assimilato alle norme del Codice Civile, modificando anche la giurisdizione per i ricorsi. Ora lo scenario è di nuovo cambiato: nonostante le restrizioni introdotte dalla Legge Finanziaria del 2001, la recente sentenza della Corte Costituzionale ha riaperto la possibilità di rivendicare gli aumenti legati all’anzianità, senza limitazioni di prescrizione, favorendo potenzialmente una retribuzione e contributi pensionistici maggiorati.
Un’opportunità significativa per i dipendenti pubblici italiani, che ora potranno valutare attentamente la propria situazione e far valere i propri diritti!
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