Sentenza storica, che ha chiuso un contenzioso che durava da oltre 25 anni…

La storia:
il ricorrente partecipava al concorso per professore associato, IIª tornata, anno 1984, nel raggruppamento 133 “Psichiatria e psicologia medica”, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Trieste e la Commissione esaminatrice, valutando i suoi titoli, esprimeva giudizio favorevole. Conseguita l’idoneità a professore associato, alla scadenza del triennio, la Commissione all’uopo nominata si esprimeva sfavorevolmente sulla conferma in ruolo. Siamo nel lontano 1984.

Partiva il primo ricorso al TAR, vinto, con sentenza confermata dal Consiglio di Stato. Il TAR FVG lo accoglieva, ordinando al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di rinominare una nuova commissione giudicatrice e di rinnovare il giudizio.
La nuova commissione nominata rinnovava il giudizio, sempre negativo. Lo stesso accadeva dopo il secondo ricorso al TAR, e via dicendo fino al 2013, ossia quando il ricorrente decide di avviare l’ennesimo ricorso al TAR avverso l’ultima “bocciatura”.
Il TAR, questa volta, non si è accontentato di annullare il giudizio, disponendo, con una sentenza che non esitiamo a definire “storica”, “LA CONFERMA, ORA PER ALLORA, DEL PROF. FLAVIO POLDRUGO NEL RUOLO DEI PROFESSORI ASSOCIATI NEL RAGGRUPPAMENTO 133 “PSICHIATRIA E PSICOLOGIA MEDICA” (ora professore universitario di II fascia per il settore scientifico disciplinare MED/25 Psichiatria) presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Trieste, CON TUTTO CIÒ CHE NE CONSEGUE SOTTO IL PROFILO RETRIBUTIVO, CONTRIBUTIVO, PREVIDENZIALE E PENSIONISTICO”.
Tanto, sulla scorta delle considerazioni che seguono : “Orbene, sin dall’esame delle prime pagine del verbale redatto dalla Commissione pare, tuttavia, emergere che la medesima, più che cercare di trarre “luce” dai dettami delle sentenze dianzi indicate (che – si rammenta – ponevano in evidenza i vizi che avevano inficiato il giudizio negativo in quel momento opposto ovvero vizi da non ripetere), si sia sforzata unicamente di giustificare un giudizio che già riteneva sarebbe stato di analogo contenuto. Sintomatico in tal senso s’appalesa, invero, quanto riportato in calce alla I pagina del verbale, laddove, per l’appunto, la Commissione “legge” le indicazioni del TAR come se le stesse, anziché orientarne (rectius delimitarne) l’operato per evitare di reiterare i precedenti vizi, fossero meri criteri da osservare per rendere intangibile un giudizio di non idoneità.
Giudizio, peraltro, poi espresso sulla scorta di discutibili criteri di valutazione, dettati – come precisato nello stesso verbale, a pag. 2 – “per rispondere all’osservazione espressa dal TAR sulla presunta carenza dei parametri assunti a riferimento nei giudizi di idoneità sinora espressi”. Già da tali emblematiche precisazioni, che la Commissione ha ritenuto di riportare a verbale, non può sfuggire lo “sviamento” di fondo che connota il suo operato.
I componenti della medesima non paiono, infatti, aver compreso che non erano chiamati a “rispondere” al Tar su alcunché, che il Tar non esprime “osservazioni” e soprattutto che nelle precedenti (e numerose) pronunce non era stata ventilata semplicemente la “presunta” carenza dei parametri di valutazione, ma che il Tar (e il Consiglio di Stato) aveva riconosciuto l’illegittimità delle attività valutative svolte dalle varie Commissioni nel tempo nominate e succedutesi (anche a causa dell’illogicità dei criteri stabiliti) e annullato i relativi atti, in quanto inficiati dai vizi denunciati dal ricorrente, motivo per cui, con la sentenza n. 154/2014, aveva ritenuto necessario individuare un nuovo meccanismo di designazione e nomina della Commissione e disporre la rinnovazione del giudizio sull’attività svolta dal prof. – omissis -.
I commissari avrebbero, pertanto, dovuto rinnovare il giudizio, con assoluta autonomia intellettuale e scevri da qualsivoglia condizionamento, facendo unicamente attenzione a non travalicare i limiti e vincoli derivanti dalle pronunce giudiziali e, in ogni caso, a non incorrere nei medesimi vizi che avevano afflitto l’operato di tutte le precedenti Commissioni deputate a valutare l’attività del ricorrente ai fini della sua conferma in ruolo.
Tutto ciò non pare, però, essersi verificato nel caso di specie.
Devesi, invero, innanzitutto convenire con il ricorrente circa l’illogicità dell’introduzione, ai fini della valutazione della produzione scientifica, di una soglia minima al di sopra della sufficienza, che non trova supporto nelle norme di riferimento, che, come ricordato dal ricorrente medesimo, si limitano a stabilire che “Dopo un triennio dall’immissione in ruolo, i professori associati sono sottoposti ad un giudizio di conferma, anche sulla base di una relazione della Facoltà, sull’attività didattica e scientifica dell’interessato” (art. 23 d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382).
Tale illegittimità inficia, quindi, già di per sé, in via derivata, il giudizio finale espresso dalla Commissione sull’attività scientifica svolta dal prof. – omissis -. E’ evidente, infatti, che, in assenza della detta soglia minima, sarebbero stati utilmente “recuperati” a valutazione gli articoli in extenso contrassegnati nel verbale dai numeri 1, 3 e 6, rispetto ai quali la Commissione ha espresso un giudizio di sufficienza.
E’, peraltro, significativo che la Commissione, laddove, con riferimento a tale profilo, sintetizza il giudizio negativo espresso nei confronti del prof. Poldrugo, si limita a precisare che il medesimo “si situa (…) ampiamente al di sotto del valore di soglia stabilito inizialmente (…)”, ma non afferma, in alcun modo, la sua assoluta e/o macroscopica insufficienza.
Rammarica, inoltre, constatare che anche la Commissione giudicatrice da ultimo designata non sia stata in grado di ancorare la propria valutazione a precisi indicatori di carattere temporale, in grado di dare intellegibile e motivata contezza del giudizio di scarsa originalità/innovativa espresso rispetto alla produzione scientifica del ricorrente.
Questo Tar, in virtù di quanto già in precedenza reiteratamente affermato dai giudici via via investiti della questione ovvero che le valutazioni sull’originalità/innovatività della produzione scientifica impongono necessariamente di assumere a riferimento la situazione della dottrina e delle conoscenze scientifiche al momento in cui i contributi scientifici sono stati pubblicati (1989/1991), precisando, dunque, quale fosse, in quel periodo, “lo stato delle conoscenze scientifiche e della dottrina, sia italiana che straniera, in materia (…)”, non può, quindi, che ritenere fondate le doglianze al riguardo svolte dal ricorrente. Non è dato sapere, infatti, in base a quali riscontri di carattere scientifico e dottrinale la Commissione abbia potuto ritenere i lavori del ricorrente nel loro complesso scarsamente originali, dato, peraltro, che anche questa volta non è stato fornito esplicito ragguaglio, sotto il profilo argomentativo/motivazionale, delle ragioni per le quali, rispetto alla stato di avanzamento del progresso scientifico di quell’epoca, l’originalità e l’innovatività dei lavori e/o degli studi del ricorrente sono stati ritenuti privi del carattere dell’originalità. E’ palese, quindi, l’apoditticità anche di tale (nuovo) giudizio.
Ancora una volta è stato, inoltre, aggirato il decisum, laddove è stato introdotto il criterio di valutazione denominato “attinenza con la disciplina di Psichiatria” e ne è stata fatta concreta applicazione, atteso, che era stato già statuito, con sentenza passata in giudicato, che gli studi sull’alcoolismo afferiscono alla psichiatria in senso proprio, con la conseguenza che la Commissione non poteva ritenersi libera di ritenere dei lavori non attinenti, senza offrire, per ciascuno di essi, per lo meno chiara ed intellegibile esplicitazione delle ragioni per cui l’aveva ritenuto tale. In tal senso s’appalesa, quindi, immotivata l’esclusione dal novero dei lavori oggetto di valutazione degli atti di congresso ritenuti non attinenti con il settore scientifico disciplinare in argomento, senza spiegare le ragioni concrete della non attinenza.
(…) E’ peraltro palese che la Commissione, anche nel valutare i lavori alla stregua del parametro “qualità della rivista scientifica”, ha omesso di paragonare l’indicizzazione della rivista con quella delle altre riviste presenti all’epoca, disattendendo, pertanto, l’esigenza (più volte ribadita in sede giurisdizionale) di ancorare il giudizio allo stato di evoluzione dell’epoca in cui i lavori sono stati prodotti e pubblicati.
Si rammenta, infatti, che la Commissione era tenuta a svolgere un giudizio ora per allora e che tale circostanza, nota e pacifica, avrebbe dovuto orientare il corretto dispiegarsi della sua attività valutativa” (TAR FVG, n. 167/2015 del 31/03/2015).