Niente “stress da Covid”, confermato l’ergastolo per il femminicidio

Lo “stress da Covid” non ha guidato l’azione di Antonio De Pace, l’infermiere autore del femminicidio della fidanzata Lorena Quaranta. E così, nel processo d’appello bis sul delitto della studentessa in Medicina, uccisa a Furci Siculo, nel Messinese, il 31 marzo del 2020 (in piena pandemia), è arrivato l’ergastolo per l’uomo.

Dopo l’annullamento con rinvio disposto dalla Cassazione lo scorso luglio, quando i giudici della Suprema Corte avevano annullato l’ergastolo inflitto dalla Corte d’Assise d’Appello di Messina “limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche”, la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria ha infatti ribadito il verdetto precedente.

In questo modo ha confermato la pena del carcere a vita: “la contingente difficoltà di porre rimedio” allo stato d’angoscia dell’imputato a causa del Covid non ha insomma costituito “un fattore incidente sulla misura della responsabilità penale”, per usare le parole degli ermellini.

Si leggeva infatti nella sentenza di Cassazione, che aveva fatto molto discutere:

Deve stimarsi che i giudici di merito non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere ‘efficacemente tentato di contrastare’ lo stato di angoscia del quale era preda” e se la fonte del disagio fosse “evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica, con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda”.

Mentre la Procura Generale aveva chiesto una riduzione della pena a 24 anni, i legali della famiglia Quaranta avevano insistito per la conferma dell’ergastolo.

Sul punto, la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria è stata chiarissima. Il riconoscimento delle attenuanti generiche non ha convinto la Corte presieduta da Angelina Bandiera – a latere il giudice Caterina Asciutto – che ha deciso di confermare la condanna al carcere a vita.


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