Per gli avvocati italiani l’intelligenza artificiale è un’opportunità

Gli avvocati non temono l’Intelligenza Artificiale, indicata solo dal 6% come fattore di rischio professionale, ma anzi come un’opportunità: “In linea di massima non emerge un atteggiamento di resistenza e preclusione di fronte alle soluzioni possibili derivanti dall’adozione di applicazioni di intelligenza artificiale”.

È quanto emerge dall’VIII Rapporto Censis sull’avvocatura, Il passo della innovazione e una ripresa da consolidare, realizzato dal Censis per la Cassa Forense.

Il rapporto fotografa la situazione attuale, con l’intelligenza artificiale che “ha fatto ormai il suo ingresso ufficiale nella professione forense, spingendo a una serie di domande cruciali sul suo utilizzo ottimale ed etico“. L’AI offre strumenti avanzati per “analizzare, raccogliere ed elaborare rapidamente enormi quantità di dati, accelerando così il processo di ricerca dell’avvocato. Tuttavia, la sua efficacia è accompagnata da interrogativi sulla veridicità delle informazioni raccolte, sull’accuratezza delle sue conclusioni e sulla possibile perdita di sensibilità umana nel trattare casi delicati“. Una questione inevitabilmente delicata, visto che “non tutti gli avvocati concordano sul riscontro che può avere l’applicazione di questo strumento nel mondo legale“.

I risultati, comunque, sorprendono chi è ancora legato ad antiche concezioni relative alla professione legale: il 58,7% degli avvocati è dell’idea che l’intelligenza artificiale rappresenti un’opportunità nella professione forense. Certo, non mancano le resistenze culturali e non tutti i legali sono entusiasti dell’applicazione dell’AI: il 32,1% la percepisce piuttosto come “una minaccia“, o perché è dell’idea che spinga le persone a sostituire la prestazione di un avvocato affidandosi ai risultati di una chatbot, o perché i relativi dati potrebbero essere hackerati, le decisioni automatizzate verrebbero assunte in maniera aspecifica, o infine perché questa novità potrebbe comportare la perdita di innumerevoli posti di lavoro.

Uno scenario decisamente polarizzato, da cui resta escluso un 8% residuo di avvocati che ancora “non ha un’opinione definita riguardo all’intelligenza artificiale e la sua applicazione nella professione forense“.

Quasi tutti i legali convengono su un punto: qulsiasi apertura all’intelligenza artificiale deve avvenire a patto di non sostituire l’avvocato. Come si legge nel rapporto, “la sfida sta quindi nel bilanciare l’efficienza dell’IA con l’expertise dell’avvocato necessaria per l’interpretazione delle informazioni e nell’interazione con il cliente“. Recentemente, da questo punto di vista, la Commissione Nuove Tecnologie della Fédération des Barreaux d’Europe ha redatto le linee guida per l’uso responsabile dell’IA nel settore legale, offrendo “una panoramica chiara dei limiti e delle opportunità dell’IA, fornendo consigli su come integrare questa tecnologia con le competenze umane, mantenendo un occhio vigile sulle normative e assicurando sempre sicurezza e trasparenza al cliente. Queste linee guida offrono un quadro più chiaro e indirizzano gli avvocati attraverso le incertezze dell’impiego dell’IA nel campo legale“.


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